Lucia Coppola - attività politica e istituzionale | ||||||||
Legislatura provinciale
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Comune di Trento
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Trento, 22 maggio 2013 La gestione dei servizi idrici e l’utilizzo dell’acqua potabile nei comuni alpini è molto diversificata e naturalmente lo standard degli stessi, comparato con la situazione del resto d’Italia, è molto elevato. Gran parte della gestione, anche a livello mondiale, rimane però pubblica: il settore privato rifornisce con i servizi idrici solo il 5/7 per cento della popolazione ma è stato stimato che dovrebbe servire il 17 per cento nel 2015. Sappiamo che meno del 3% dell’acqua della terra è acqua dolce e il 75 per cento è legato all’esistenza dei ghiacciai. Perciò l’interesse potenziale in termini di liberalizzazioni e privatizzazioni dell’acqua delle Regioni Alpine europee è dovuto al fatto che esse appartengono alla categoria delle «regioni ricche di acqua». Una Regione può essere considerata tale quando sono disponibili più di 1.300 metri cubi di acqua dolce per le famiglie, l’agricoltura, l’industria. Grazie alle Alpi, nelle regioni alpine sono a disposizione circa 5800mc di acqua dolce al giorno per persona. Da qui nasce il grande interesse dei privati ad accaparrarsi la gestione dei servizi idrici. E qui sta il punto. I recenti referendum sull’acqua bene comune, hanno sancito il fatto che l’acqua non può essere considerata alla stregua di una mercanzia, né la sua gestione un mezzo per arricchire gli azionisti. Da ciò deriva il principio di gestione pubblica dell’acqua, dei servizi idrici comunali. La gestione pubblica, infatti, è l’unica modalità che permette alla collettività di esercitare tutte le sue prerogative su questo bene, non può fare utili e deve reinvestire nei servizi idrici tutto quello che ottiene. Ora, noi ci troviamo in consiglio comunale di fronte ad una delibera che propone una società inhouse, New-Co, per gestire servizio idrico e rifiuti, scorporandoli da Dolomiti Energia, per Trento, Rovereto e per altri 15 comuni. Ciò comporta il fatto che si dica in modo chiaro che le società in-house non sono enti di diritto pubblico ma privato. Le quote delle società sono nelle mani del pubblico ma la natura dell’ente è privatistica, gestita da un consiglio di amministrazione dove sono presenti privati e nessuno può garantire l’esito di una vicenda di questo tipo, compresa la possibile vendita di un patrimonio che appartiene a tutti e la garanzia occupazionale degli addetti. Per questi motivi, lo scorso dicembre, io e il consigliere Porta avevamo presentato al Consiglio Comunale un ordine del giorno con la proposta di costruire un modello simile a quello adottato a Napoli e in altre amministrazioni (che davvero intendono rispettare gli esiti del Referendum sull’Acqua bene comune): l’Azienda Speciale. Una modalità, questa, che non è nata dal nulla ma dalla consultazione di esperti di differenti discipline (economiche, giuridiche, aziendali), esponenti della società civile, ambientalisti. Prevede la partecipazione attiva dei lavoratori e dei cittadini ed è un ente di diritto pubblico che nasce dalla consapevolezza che la categoria dei beni comuni, legati all’esercizio dei diritti fondamentali della persona, va preservata anche nell’interesse delle generazioni future. In Italia, ed è innegabile, le privatizzazioni hanno determinato forti incrementi delle tariffe e nessun beneficio per i cittadini in termini di qualità del servizio. L’Azienda Speciale, per contro, è un buon esercizio di democrazia partecipata dal basso e il suo dovere principale non è quello di arricchire gli azionisti ma di difendere il bene acqua. La delibera comunale, se pure apparentemente «solo» di indirizzo, pone in realtà vincoli prescrittivi e pesanti. Tra questi la ripubblicizzazione delle reti dell’acquedotto comunale, attualmente di proprietà del Gestore uscente, cioè di Dolomiti Energia (era stato ceduto nel 1927 alla Sit), che concretamente significa il riacquisto dell’acquedotto per la modica cifra di 37 milioni di euro! Nella stessa delibera si autorizza la vendita a FinDolomiti Energia s.r.l di azioni di Dolomiti Energia S.p.A, detenute dal Comune di Trento, che attualmente costituiscono un utile significativo, indispensabile a mantenere l’attuale livello alto dei servizi nella nostra città. La delibera consente quindi di accedere, pur nelle attuali difficoltà economiche del Comune di Trento, ad una garanzia fideiussoria di 15 milioni di euro per reperire parte dei finanziamenti necessari al riacquisto dell’acquedotto. Ed è certo che gli interessi da pagare finiranno nelle bollette dei cittadini. Vi sono comuni che in situazioni analoghe non hanno ritenuto di dover procedere al riscatto delle reti idriche, come Milano. Per quanto riguarda Genova, il fatto che l’ipotesi di rimunicipalizzazione sia lontana (la scadenza dell’affidamento è prevista per il 2032), non se ne è fatto nulla. Per noi la scadenza è ancora più lontana, il 2040, però non si ritiene di dover congelare per ora questo oneroso impegno, comportato dall’eventuale riscatto dell’acquedotto. Il tutto in assenza di un piano industriale e senza che vi sia stato il coinvolgimento dei revisori dei conti. Difficile per me, e non solo per me, avallare questa scelta. Lucia Coppola
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LUCIA COPPOLA |
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